Americhe: cosa nascondono ancora queste terre?

Cahokia e foresta amazzonica

Molti di voi, di fronte a questo incipit, avranno subito pensato agli Incas peruviani o ai Maya e agli Aztecas messicani. Chi può negare il proprio senso di stupore di fronte ai millimetrici incastri delle costruzioni in pietra poligonale megalitica del Perù o di fronte ad alcune piramidi, come quella del Sole di Teotihuacan in Messico, alta circa 71 metri e con una base avente una lunghezza pari a 223 metri per ogni lato? Sebbene le popolazioni autoctone che vennero a contatto con i colonizzatori spagnoli negassero di averle costruite, dichiarando che esse si trovavano lì già da tempo e che erano state costruite dagli dei, l’archeologia ufficiale tende a posticipare la costruzione di questi monumenti ad epoche a noi relativamente vicine: la pietra a dodici angoli, situata nella strada Hatum Rumiyoc di Cuzco, in Perù, sarebbe un classico esempio di edilizia Inca, popolo vissuto tra il 1200 e il 1400 d.C., mentre la Piramide del Sole di Teotihuacan sarebbe stata costruita tra il 100 e il 200 d.C.

L’archeologia è sempre stata molto avara nel riconoscere una storia più antica e articolata per queste terre. E’ ancora predominante l’idea che esse vennero popolate nel 10.000 a.C. da popolazioni migrate attraverso lo stretto di Bering che diedero origine alla cosiddetta Cultura Clovis. Fortunatamente il vento sta cambiando e pian piano sia il modo che il periodo in cui questa parte di mondo venne originariamente colonizzata stanno conoscendo una revisione che porterebbe a retrodatare di parecchi millenni l’arrivo dell’uomo nelle Americhe.

Il rinnovato slancio con cui appassionati e accademici stanno trattando l’argomento da una parte ci fa ben sperare. D’altra parte, però, c’è il solito arroccamento di chi vorrebbe rimanere per sempre pervicacemente attaccato ai libri studiati durante il percorso universitario, atteggiamento che non aiuta di certo la ricerca a fare passi avanti.

Un esempio di ciò che dovrebbe essere esaminato con più convinzione e serietà è stato nascosto per secoli dagli alberi della foresta amazzonica, al confine tra Brasile e Bolivia. Un insieme di centinaia di viali, fossi e recinti potrebbero contrassegnare un’area che avrebbe potuto ospitare un'antica civiltà sconosciuta. Ma l’accademia insiste nel dire che prima dell'arrivo degli spagnoli e dei portoghesi nel XV secolo non c'erano società complesse nel bacino amazzonico. La deforestazione unita alle immagini satellitari ci stanno raccontando, però, una storia diversa. "Non finisce mai", spiega Denise Schaan dell'Università Federale di Parà a Belem, Brasile, che ha fatto molte delle nuove scoperte sorvolando le zone in aereo o esaminando le immagini di Google Earth. "Ogni settimana troviamo nuove strutture". Alcune di queste sono quadrate o rettangolari, mentre altre formano cerchi concentrici o figure geometriche complesse come esagoni e ottagoni collegati da strade. I ricercatori ritengono che si tratti solo di geoglifi, cioè disegni sul terreno ottenuti attraverso la disposizione di pietre.

Secondo alcuni studiosi indipendenti la regione amazzonica, lungi dall’essere una foresta vergine pluviale, mostrerebbe indizi della presenza e dell’influenza dell’uomo al punto tale da fare intuire un intervento volontario atto a rendere il suo suolo particolarmente fertile.

Ma anche nel nord America ci sono tracce di una presenza umana civilizzata che va ben oltre l’immagine delle sparute e disorganizzate tribù indiane tramandateci dai pionieri.

Nel mese di gennaio 2012, il quotidiano Daily Mail pubblicò un articolo a proposito della “scoperta di una metropoli dei nativi americani nascosta sotto una città moderna per un millennio”. L’articolo proseguiva spiegando che “gli archeologi che scavano in preparazione per il ponte che attraversa il Mississippi - che collegherà Missouri e Illinois - hanno scoperto la città perduta di Cahokia sotto la moderna città di St. Louis”. Eppure già nel 1997 il Washington Post parlava di questa città. Si può definire una scoperta quella di un centro abitato sul quale i giornali già diffondevano notizie dodici anni prima?

Il Daily raccontava della presenza di una sofisticata metropoli che si estendeva su entrambi i lati del Mississippi. Cahokia per molto tempo era stata ritenuta niente più che un piccolo accampamento occasionale i cui resti erano arrivati fino a noi. Invece, quello che venne fuori durante gli scavi di prospezione antecedenti alla costruzione del ponte fu stupefacente: centinaia di case rettangolari e ben curate, accuratamente allineate lungo le direzioni cardinali e all’ombra di decine di enormi montagne di terra affiancate da grandi piazze cerimoniali. Di fatto essa poteva ritenersi l’unica città precolombiana a nord del Rio Grande, grande anche per gli standard europei e mesoamericani, poiché poteva ospitare al suo interno circa 100.000 abitanti. Per queste caratteristiche Cahokia venne iscritta tra i siti di interesse storico dall’Unesco nel 1982. E anche in questo caso la data è sospetta: un sito già parte del patrimonio Unesco sarebbe stato “riscoperto” nel 1997 e poi nel 2012?

Proprio perché così datata come scoperta, e grazie all’intervento dell’Unesco, avremmo dovuto sentirne parlare tutti. E, invece, scommetto che pochi tra i nostri lettori siano consapevoli della sua esistenza. Gli esploratori francesi Jacques Marquette e Louis Joliet identificarono per primi i tumuli di terra nel 1673, riferendo di non aver trovato indiani stanziati nella zona. Gli indiani Illinii presenti ai margini della regione riferirono agli europei di non sapere chi aveva costruito i tumuli. Ancora oggi nessuno conosce l'etnia dei Cahokiani, che lingua abbiano parlato e quali canzoni cantato o addirittura come abbiamo chiamato se stessi. Il nome "Cahokia" è un nome improprio. Viene dal nome di una sub-tribù degli Illini che non hanno raggiunto la zona fino ai 1600, provenendo dall’Est degli Stati Uniti. Di fatto, rintracciando le foto dei resti di questa città, quelle che vengono definite “enormi montagne di terra” sembrano molto più simili a piramidi forgiate dalla mano dell’uomo piuttosto che da quella della natura. Sebbene siano state rinvenute delle sepolture nei pressi delle colline, data la sacralità conferita ad esse anche dai nativi moderni, non riterreste normale che nei secoli (o millenni) passati questi possano aver sepolto alcuni capi particolarmente importanti in quei luoghi, regalandogli una inumazione sacra? Gli archeologi hanno datato il legno delle sepolture circostanti e grazie ad esso hanno datato tutto il sito.

Dunque, sulla sua costruzione l’ipotesi ufficiale è quella che, intorno al 700 d.C., un piccolo gruppo di nativi americani avrebbe fondato il villaggio che poi si sarebbe evoluto fino a queste dimensioni per poi essere abbandonato nel 1400. Peccato che vi siano alcuni punti poco chiari. Perché una piccola tribù avrebbe dovuto costruire 120 piramidi orientandole astronomicamente? Perché queste conoscenza non erano padroneggiate dai nativi all’arrivo dei pionieri europei? Gli ultimi campi di scavo sono relativi al 2007 ma essi, e quelli precedenti, sono serviti più che altro a consolidare i tumuli (detti mounds) o a cercare una fabbrica di rame che, per inciso, potrebbe essere stata edificata successivamente all’epoca di costruzione delle “colline”. Perché gli archeologi non possono scavare le montagne di terra mentre, invece, sono autorizzati a scavare le casette dei dintorni? L’ortodossia sembra urlare: “Guardate queste splendide casette col tetto di paglia, non guardate le piramidi!”. Probabilmente i nativi americani hanno costruito le loro capanne all’ombra delle piramidi che consideravano sacre, ma queste sono state verosimilmente costruite in un’altra epoca. O, quantomeno, questo è quello che penseremo finché gli scavi archeologici uniti ad una seria ricerca non metteranno fine con prove scientifiche a questo scandalo.

Voltarsi dall’altra parte o omettere volontariamente di fare ricerca in un determinato campo per paura dei risultati che si potrebbero ottenere non è corretto né scientifico. Le conclusioni così ottenute, infatti, sono prive di completezza e non possono essere ritenute valide. Evitare di parlarne o, peggio, calunniare chi lo fa, dimostra che vi sono ancora argomenti tabù di cui l’ortodossia accademica teme la diffusione. Diversamente dalla scienza, l’archeologia teme le intuizioni che, invece, sono il motore della ricerca scientifica, sopprimendo con molti mezzi il cammino dell’umanità verso la conoscenza delle sue vere origini. Il discredito sollevato dalle accademie nei confronti dei ricercatori indipendenti in genere è direttamente proporzionale all’interesse sollevato dalle loro argomentazioni. Chiamiamola fantarcheologia, se volete.

(Yoda - 7 marzo 2018)