Il nuraghe sardo: una matrice ancestrale?

Great Zimbabwe e Santu Antine

Si consumano i decenni ma nessuno viene a capo della matassa. Cosa erano i nuraghi? Come mai ne furono costruiti così tanti? E come è stato possibile fare questo in pochissimo tempo?

Dato che il 48% degli italiani pensa che il nuraghe sia un dolce tipico sardo, dobbiamo specificare che esso, in realtà, è un monumento megalitico dalla forma tronco-conica, a volte costituito da una forma semplice, cioè da una sola torre, altre da una forma complessa, cioè da più torri unite insieme a modellare una costruzione imponente. Costruiti in pietra megalitica poligonale a secco, cioè senza l’utilizzo di malte, un tempo svettavano sulle terre dell’isola, misurando anche più di trenta metri di altezza, l’equivalente di un palazzo di dieci piani. I nuraghi, oggi svettano un po’ meno, e se ne contano circa 8000, ma si stima che ve ne siano altrettanti, se non il doppio, ancora da disseppellire. L’archeologia ufficiale afferma che siano stati costruiti in un periodo che va dal secondo millennio al quinto secolo avanti Cristo. L’accademia sta ancora dibattendo sul loro uso, catalogandoli di volta in volta come fortezze, abitazioni o magazzini. Noi concordiamo con il grande linguista e professore Massimo Pittau nel definirli templi o costruzioni religiose. E non ci sembra di stare in cattiva compagnia, anzi!

Secondo l’architetto Danilo Scintu, che ha misurato con competenza i numeri di cui stiamo parlando, in poco meno di mille anni gli antichi sardi avrebbero costruito diciassette milioni di metri cubi di nuraghi mentre in Egitto, in 2650 anni circa, sarebbero stati fabbricati solo sette milioni di metri cubi di monumenti vari (esaminando un periodo che va dal 2686 al 30 a.C.).

E’ chiaro, con i dati alla mano, che gli sforzi costruttivi dell’antica civiltà sarda non possano essere credibilmente ricompresi in uno spazio temporale così breve poiché un impegno produttivo di tali dimensioni richiederebbe, oltre che notevoli risorse umane ed economiche, anche una forte determinazione e motivazione.

Girando per il mondo, peraltro, è facile imbattersi in monumenti che, sebbene non evochino la grandiosità dei nuraghi, rassomigliano ad essi al pari di una riproduzione meno raffinata.

E’ il caso del Great Zimbabwe africano che, in lingua locale, sarebbe nientemeno che la “Grande Casa Venerata”, dunque un grande tempio. E questo sarà, forse, solo un fortunato indizio. Il complesso è costituito da pietre di granito posizionate a secco ed è molto impressionante notare la sua somiglianza con la forma di un nuraghe complesso, dotato di più torri e di una cinta muraria. Gli archeologi sostengono che sia stato costruito in epoca medioevale.

Questa monumentale costruzione è circondata da secoli da numerose storie e leggende. Una di queste sostiene che la città sia stata fondata dai fenici (o dai sardi, azzardiamo noi), teoria che però non è stata ancora provata poiché negli ultimi secoli i tombaroli avrebbero fatto sparire tracce molto importanti, rendendo impossibile un’analisi archeologica. La zona è ricca di metalli e alcuni ritrovamenti fanno ipotizzare che i suoi abitanti fossero specializzati nella ricerca di minerali. E questo sarebbe un secondo indizio che, sommato all’altro, non costituirebbe niente altro che una coincidenza, secondo Agatha Christie. E, sebbene gli archeologi portino avanti la storia dello sfruttamento minerario nella zona del Great Zimbabwe solo a partire dal 1000 dopo Cristo, vi sono prove scientifiche dell’Università di Yale che dimostrano, invece, che questo sia avvenuto almeno a partire dall’ottavo millennio avanti Cristo. I sardi antichi sono stati dei grandi artisti del bronzo, la cui composizione, rame e stagno, non è così banale come potremmo pensare. Il bronzo si compone, a spanne, per il 90% di rame e per il 10% di stagno. L’isola è ricca di rame ma lo è molto meno di stagno. Tant’è che, sebbene vi siano alcuni filoni, anche gli antichi Romani si rifornivano di questo minerale al di fuori del territorio sardo. Come giustificare, dunque, una produzione così vasta di bronzi in epoca arcaica? E, quindi, da dove arrivava lo stagno necessario per ricavare il bronzo nuragico? Ci pare utile segnalare che ancora oggi lo stato dello Zimbabwe estrae dalle sue miniere una percentuale molto importante dell’intero stock mondiale di stagno.

In Sudafrica vi sono dei monumenti analoghi, purtroppo non così ben tenuti come in Zimbabwe, chiamati più comunemente “Stone Circles”, cioè circoli di pietra. Anch’essi costruiti con tecnica a secco, visti dall’alto richiamano fortemente le planimetrie dei nuraghi sardi. Si trovano su un vastissimo altipiano alto circa duemila metri ricchissimo di minerali, tra i quali lo stagno. Tre indizi, in genere, costituiscono una prova. È piuttosto curioso notare come le popolazioni locali ricordino la distruzione degli Stone Circles ad opera di un mega-tsunami in ere remote. Forse un racconto portato in loco dai costruttori sardi dei nuraghi, memori della distruzione della loro isola nel 9700 a.C.?

Ancora più curioso il caso dei Broch scozzesi, torri in pietra a secco con doppia muratura contenente, al suo interno, una scala: tecnica ben conosciuta dagli antichi sardi. I Broch vengono fatti risalire all’età del ferro. Casualmente, anche la Scozia, specie al nord e nelle isole Orcadi, è ricca di stagno. Ops! Siamo alla quarta coincidenza. A questo punto, i tre indizi ci sono e anche la prova!

A ben guardare vi sono imitazioni dei nuraghi proprio nei luoghi dove gli antichi sardi avrebbero potuto rifornirsi di stagno. I megaliti sardi, dunque, potrebbero essere interpretati come matrici di costruzioni successive. Un marker ben riconoscibile del passaggio dell’antico popolo isolano in terre che avrebbero dovuto conoscere solo in età moderna.

Concludiamo dando risposta alla domanda iniziale e, cioè, cosa lega i megaliti sardi ai Broch scozzesi, al Great Zimbabwe e agli Stone Circles sudafricani? Indubbiamente la cecità di chi, pur avendone titolo, non vuole vedere il quadro di insieme. L’arroganza, da parte di chi dovrebbe farlo, nell’evitare di valorizzare queste costruzioni, in Sardegna come in Sudafrica, relegandole a dimore di re pastori in perenne guerra tra loro, giustificando in tal modo lo stato di abbandono in cui versano la maggior parte di questi siti. La baldanza di chi sostiene, senza averne le prove, che in epoche remotissime questi popoli non abbiano avuto contatti. Insomma, la negazione assoluta della verità storica. Cui prodest? Lasciamo a voi la risposta.

(Yoda - 1 settembre 2017)